Dopo 50 anni di fiamme ininterrotte, il cratere di Darvaza, conosciuto in tutto il mondo come la “Porta dell’Inferno”, si è spento. L’enorme voragine larga circa 70 metri, situata nel cuore del deserto del Karakum in Turkmenistan, non è più il calderone incandescente che attirava viaggiatori e fotografi: oggi restano soltanto poche sacche di fuoco e cenere annerita.
La decisione di chiudere questo capitolo è stata presa dalle autorità turkmene per ridurre le emissioni di metano, in linea con gli impegni presi dal Paese nella lotta contro i cambiamenti climatici.
Un cratere nato per errore
La Porta dell’Inferno nacque nel 1971, quando un gruppo di geologi sovietici perforò accidentalmente una sacca di gas naturale. Temendo gravi rischi per la salute di popolazione e bestiame, decisero di incendiarla, convinti che si sarebbe esaurita in pochi giorni. Invece, il rogo è durato mezzo secolo, diventando simbolo e curiosità mondiale.
La svolta politica e ambientale
Nel 2022 l’allora presidente Gurbanguly Berdymukhamedov ordinò lo spegnimento definitivo del sito, citando motivi ambientali ed economici.
Il Turkmenistan, ricco di risorse naturali e con la quarta riserva di gas al mondo, è anche tra i maggiori emettitori di metano. L’adesione al Global Methane Pledge, che punta a tagliare del 30% le emissioni entro il 2030, ha spinto a trasformare un’attrazione turistica in un intervento ecologico.
L’impatto sul turismo
Per il Paese, uno dei più isolati al mondo, la Porta dell’Inferno era una delle pochissime mete conosciute all’estero e operatori e guide temono gravi ricadute.
Con un turismo già limitato e un clima estremo – oltre 50°C in estate e sotto i -20°C in inverno – la scomparsa di questo simbolo rischia di spegnere anche le ambizioni di crescita turistica.