Il sistema previdenziale italiano si trova a fare i conti con un ammanco da 6,6 miliardi di euro, destinato a gravare sulle casse pubbliche nei prossimi anni. A lanciare l’allarme è il Consiglio di indirizzo e vigilanza (Civ) dell’Inps, che evidenzia l’impatto dei crediti contributivi cancellati attraverso tre provvedimenti approvati tra il 2018 e il 2022. Nonostante l’eliminazione formale di questi debiti, i lavoratori coinvolti mantengono il diritto alla pensione grazie al principio dell’automaticità delle prestazioni.
Contributi non versati, ma pensioni garantite
I crediti stralciati riguardano i contributi previdenziali fino al 2015: pur non essendo mai stati versati, consentono comunque ai lavoratori di maturare il montante pensionistico. Questo perché, secondo la normativa vigente, le prestazioni restano garantite anche in assenza di effettivo versamento. Il Civ dell’Inps sottolinea che sarà necessario coprire gli oneri aggiuntivi generati da questa situazione e chiede che vengano inseriti nei futuri trasferimenti statali verso l’Istituto.
Condoni fiscali nel mirino: la politica si divide
Il tema è esploso anche nel dibattito parlamentare. Il senatore Tino Magni (Alleanza Verdi e Sinistra) critica duramente il governo: «Condoni per i furbetti, costi per gli onesti. Gli stralci decisi dall’esecutivo pesano per oltre 15 miliardi di euro, tra cui quasi 10 miliardi legati alla cancellazione delle cartelle fino a mille euro e 6 miliardi per i contributi previdenziali non versati fino al 2015».
Magni punta il dito contro quella che definisce una “raffica di condoni” che spazia “dal salvacalcio agli scontrini, dagli scudi penali ai condoni Inps e Inail”, con un messaggio pericoloso: “Se non hai pagato, ci pensa lo Stato”.
La denuncia dei sindacati: “Così si premia l’evasione”
Anche la Cgil interviene duramente sul caso. I segretari confederali Lara Ghiglione e Christian Ferrari denunciano un impatto negativo di 13,7 miliardi sul Rendiconto generale 2024 dell’Inps, derivante da stralci e condoni contributivi. Sebbene contabilmente coperti dal Fondo di svalutazione crediti, si tratta di somme che avrebbero dovuto alimentare la previdenza pubblica.
«È inaccettabile giustificare la rinuncia a miliardi di euro in nome di sanatorie generalizzate. Così si danneggia chi ha sempre versato regolarmente», affermano i sindacalisti.
Il futuro della previdenza pubblica al bivio
Secondo Ghiglione e Ferrari, è tempo di un cambio di paradigma: «Rimettere al centro il valore del lavoro e chi lo svolge è la priorità. Serve un’alternativa fondata su legalità, equità e giustizia sociale». In quest’ottica, i sindacati rilanciano la campagna referendaria dei 5 SÌ, come segnale forte di una diversa visione di Paese.