Il cardinale Pietro Parolin si prepara a svolgere un ruolo di primo piano nel conclave di oggi, 7 maggio 2025, non solo come presidente dell’assemblea dei cardinali elettori, ma anche come uno dei papabili più accreditati per diventare il prossimo Pontefice. Figura riservata e potente, Parolin ha segnato la storia recente della Chiesa con un’attività diplomatica intensa, discreta e a tratti controversa.
L’uomo chiamato a guidare il conclave
A presiedere il conclave dovrebbe essere, secondo consuetudine, il Decano del Collegio cardinalizio, ma sia Giovanni Battista Re che il Sottodecano Leonardo Sandri hanno superato gli 80 anni e sono quindi esclusi dal voto. Il compito spetterà quindi a Pietro Parolin, per una scelta voluta da papa Francesco nel 2018. Parolin avrà l’onere di porre le due domande rituali al nuovo eletto: se accetta il ruolo di pontefice e quale nome intende assumere.
Una carriera interamente diplomatica
Parolin, vicentino classe 1955, ha dedicato l’intera vita alla diplomazia vaticana, senza mai ricoprire incarichi pastorali. Dopo aver studiato diritto canonico e frequentato l’Accademia ecclesiastica, è stato inviato in Nigeria e in Messico, per poi diventare nunzio apostolico in Venezuela nel 2009. Il suo approccio, definito di “neutralità positiva”, ha spesso cercato il dialogo anche con regimi ostili, come quello di Hugo Chávez.
L’accordo con la Cina e il peso delle critiche
Il momento più delicato della sua carriera è stato probabilmente la gestione dell’accordo con la Cina del 2018 sulla nomina dei vescovi. Un’intesa segreta, già rinnovata tre volte, che ha scatenato critiche dentro e fuori il Vaticano, in particolare da parte del cardinale Joseph Zen, che lo ha accusato di aver “svenduto” i cattolici cinesi. Parolin ha sempre difeso la scelta, sostenendo che ogni passo verso il dialogo sia preferibile a uno scontro frontale.
Diplomazia e riservatezza al servizio della Chiesa
Nel 2014, Parolin è stato protagonista nella riapertura delle relazioni diplomatiche tra Cuba e Stati Uniti, un successo attribuito alla discrezione e all’efficacia della diplomazia vaticana. Il suo stile, descritto dal New York Times come flemmatico e imperscrutabile, si è rivelato essenziale anche nella gestione delle posizioni complesse della Santa Sede sulla guerra in Ucraina.
Una figura di continuità, non senza limiti
Nonostante la lunga esperienza, Parolin non è noto per una produzione teologica autonoma né per grandi slanci carismatici. La sua posizione è spesso moderata, anche sui temi etici più divisivi. Sulla recente apertura alle benedizioni per le coppie omosessuali, ha specificato che si tratta di un gesto pastorale, non un riconoscimento sacramentale.
Il profilo del possibile papa
Parolin viene visto come un potenziale pontefice di transizione, capace di consolidare le riforme avviate da papa Francesco senza strappi. La sua candidatura riflette il desiderio di una guida esperta, sobria e diplomatica, in grado di gestire con equilibrio le tensioni interne ed esterne della Chiesa.
Se verrà eletto, sarebbe il primo Segretario di Stato a diventare papa dopo Pio XII nel 1939, un’eventualità rara anche a causa del potere e delle alleanze che questa figura esercita all’interno della Curia. Eppure, nel complesso equilibrio del prossimo conclave, l’esperienza e la prudenza di Parolin potrebbero rappresentare la sintesi ideale tra continuità e stabilità.