Le spiagge italiane sono invase da migliaia di dischetti di plastica nera, trasportati dal mare e riversati lungo le coste dell’Adriatico, dalla Puglia a Rosolina, in provincia di Rovigo. Si tratta, con ogni probabilità, di componenti tecnici utilizzati nei depuratori di nuova generazione, più precisamente nei sistemi MBBR (Moving Bed Biofilm Reactor), che sfruttano il biofilm per trattare le acque reflue.
L’allarme è stato lanciato da Enzo Suma, ideatore del progetto Archeoplastica, che da mesi monitora il fenomeno: «Stanno arrivando ininterrottamente dal mare, è chiaro che c’è una perdita continua da qualche impianto, ma individuarne l’origine è molto difficile».
Cosa sono i dischetti neri e perché stanno finendo in mare
I dischetti, simili a piccole patatine in plastica con struttura traforata, sono composti da polipropilene e polietilene, materiali resistenti a sostanze chimiche aggressive e utilizzati nei depuratori industriali più moderni. La loro funzione è ospitare colonie di batteri utili alla depurazione biologica dell’acqua.
Ma quando questi elementi finiscono in mare, diventano rifiuti plastici non biodegradabili, difficili da raccogliere e potenzialmente pericolosi per l’ecosistema marino.
Tracciarli è quasi impossibile: chi è il responsabile?
L’origine dello sversamento resta non identificata. Secondo Riccardo Mancin dell’associazione Plastic Free, è plausibile che i dischetti provengano da un impianto situato nel Nord Italia, o siano stati accidentalmente scaricati da una nave in mare aperto.
Il problema è che nessun dischetto è tracciabile: non esistono codici o segni che possano ricondurre con certezza a un impianto specifico. Archeoplastica ha contattato il direttore vendite dell’azienda produttrice per cercare di ottenere un elenco degli impianti che utilizzano questo tipo di tecnologia, ma per ora senza successo.
Intanto, è stato presentato un esposto al Nucleo Operativo Ecologico (NOE) dei Carabinieri, nella speranza di identificare i responsabili e fermare lo sversamento.